Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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Sull’orlo del dirupo

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Abstractrettagolo con testo

Un nuovo problema: la sostenibilità

«Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». [1] Questo concetto è stato sviluppato nel 1987 su commissione dell’ONU dalla World Commission on Environment and Development, nata nel 1983 per affrontare un problema completamente nuovo per la nostra specie. Partendo dalla sostenibilità ambientale, che è fondamentale per garantire la funzionalità e la stabilità dell’ecosistema terrestre che supporta la sopravvivenza biologica della nostra specie e di tutte le altre, il concetto di sostenibilità deve essere esteso anche agli ambiti economici e sociali.

Lo sfruttamento delle fonti fossili

Il Sistema Naturale funziona sfruttando l’energia solare, che è rinnovabile. Fino all’inizio della Rivoluzione Industriale gli esemplari di Homo Sapiens hanno fatto altrettanto, ma da quel momento in poi è avvenuto qualcosa di completamente nuovo: abbiamo cominciato ad attingere a risorse fossili (carbone, petrolio, gas naturale) prelevandole dal sottosuolo nel quale si erano formate ed accumulate con processi naturali durati centinaia di milioni di anni. Queste fonti molto concentrate ci hanno fornito e ci forniscono ancora una grande quantità di energia a basso costo e sono facilmente trasportabili, ma hanno il problema di 1-non essere rinnovabili, 2-di provocare vari tipi di inquinamento a causa del rilascio nell’ambiente di elementi tossico-nocivi, e infine 3-di produrre dei gas ad effetto serra che alterano la stabilità del clima. Dal canto suo, lo sfruttamento dell’energia proveniente dalla fissione dell’atomo genera delle scorie radioattive i cui effetti dannosi si prolungano per tempi lunghissimi. Il gas serra prodotto nella combustione degli idrocarburi è la CO2  (anidride carbonica) che ha tempi di decadimento dell’ordine delle migliaia di anni: dopo 1000 anni ad esempio il 20% della CO2 che emettiamo con le nostre azioni quotidiane è ancora presente in atmosfera a modificare il clima [2].

Con il trascorrere degli anni, i processi di estrazione del petrolio sono diventati sempre più difficili e costosi: se negli anni passati si doveva scavare poco profondamente per trovarlo (20 metri nel caso del primo pozzo sul territorio americano entrato in attività nel 1859), oggi dobbiamo scendere nel sottosuolo per diversi chilometri. La conseguenza è che questa risorsa fossile, che è ancora fondamentale per il funzionamento del nostro modello di società, sta diventando sempre meno conveniente sia in termini energetici (l’energia netta che ricaviamo dai processi di estrazione è sempre minore) sia in termini economici (aumentano i costi di ricerca, di estrazione e raffinazione). I giacimenti definiti come “convenzionali” sono quelli che consentono al greggio di fluire spontaneamente verso i pozzi di estrazione: purtroppo questa categoria di risorse privilegiate non riesce più a soddisfare la domanda globale di energia, e oggi siamo costretti a ricorrere a fonti “non convenzionali”, come il fracking (fratturazione idraulica delle rocce) o la lavorazione delle sabbie bituminose. Queste ultime sono delle rocce sedimentarie formate da argilla e sabbia, le cui porosità sono piene di bitume, che una volta lavorato con grandi dispendi di energia e grandi inquinamenti ambientali, porta all’ottenimento del petrolio grezzo. L’estrazione con il metodo del fracking consente invece di estrarre il petrolio o il gas naturale dalle rocce di scisto: consiste nella perforazione del terreno fino a raggiungere le rocce che contengono i giacimenti di gas o petrolio, iniettando successivamente un getto ad alta pressione di acqua mista a sabbia ed altri prodotti chimici per provocare la fessurazione e fratturazione della roccia. L’emersione del gas o del petrolio in superficie avviene attraverso l’acqua, che successivamente viene ripompata in profondità.

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Il cambiamento climatico e la transizione energetica

Oggi sappiamo che superando una soglia critica di 1,5-2ºC di aumento di temperatura media globale rispetto ai livelli preindustriali si innescherebbero degli anelli di reazione positiva che porterebbero il cambiamento climatico a sfuggire completamente al nostro controllo: i meccanismi termodinamici inizierebbero ad auto-alimentarsi e le alterazioni diventerebbero talmente profonde da negare le possibilità di adattamento biologico alla nostra specie e a tutte le altre che abitano il Pianeta. A tal proposito l’Accordo di Parigi (COP21, ovvero 21ma Conferenza Mondiale sul Clima) sottoscritto nel dicembre 2015 da tutti i Governi del Pianeta prevede che ogni Paese metta in atto delle strategie di mitigazione (riduzione delle emissioni climalteranti che consentano di restare globalmente entro la soglia di sicurezza prefissata) e delle contemporanee strategie di adattamento (investimenti finanziari e preparazione della società ad affrontare i cambiamenti che ormai sono impossibili da evitare). Per poter raggiungere gli obiettivi stabiliti, sappiamo che il bilancio netto delle emissioni di COdeve essere azzerato nell’arco di 30 anni. Questo comporta la completa dismissione dei combustibili fossili: il che a sua volta sottintende una totale riprogettazione della nostra società, che deve prepararsi a funzionare con il nuovo mix di fonti energetiche rinnovabili che andranno a sostenerla.

Attualmente i dispositivi elettronici con i quali conviviamo quotidianamente, e che purtroppo sostituiamo in continuazione a causa di un’esasperata situazione di obsolescenza programmata, non sono costruiti per poter riciclare i rari e preziosi minerali che consentono di raggiungere un’elevata miniaturizzazione e delle performances molto alte. Questi stessi minerali sono alla base delle tecnologie che permettono lo sfruttamento delle energie rinnovabili: l’utilizzo eccessivo di queste risorse per creare oggetti non essenziali ai fini della nostra sopravvivenza mette a rischio la possibilità di produrre su larga scala tutta una gamma di dispositivi tecnologici che diventano invece cruciali nell’ambito di una logica di totale abbandono dei combustibili fossili. L’Unione Europea ha realizzato alcuni anni fa uno studio molto corposo che descrive con precisione le criticità di questi mineralitabelltabella

La domanda che dobbiamo porci a questo punto è duplice, se non triplice: la prima è quanta energia ci occorre per poter costruire in tempo utile la nuova infrastruttura mentre siamo costretti a mantenere in piedi anche quella vecchia. La seconda è se l’energia netta che possiamo ancora ricavare dallo sfruttamento dei combustibili fossili ci consentirà di effettuare questa transizione (detto in altre parole, dobbiamo evitare che in termini di sfruttamento utile i combustibili fossili ci abbandonino prima che siamo noi ad abbandonare loro). La terza è se i minerali molto rari indispensabili per costruire i dispositivi e la rete intelligente che occorre per supportare il mix energetico rinnovabile che andremo ad utilizzare saranno sufficienti a coprire il fabbisogno. In pratica, possiamo vincere questa sfida molto impegnativa utilizzando bene tre i “tesoretti” che sono la chiave di questa partita: il tempo utile ancora disponibile, l’energia utile ancora disponibile, e i minerali rari e preziosi che non dobbiamo sprecare.

 L’indicatore che si chiama EROEI

Per chiarire meglio il concetto di energia netta utilizzeremo un indicatore chiamato EROEI (acronimo di Energy Return On Energy Invested) che ci mostra quanta energia utile possiamo ricavare da un qualsiasi processo di produzione dell’energia: nella fattispecie, andremo ad applicarlo nel caso dei combustibili fossili. Nel 1940 l’EROEI del petrolio era pari a 100: ovvero con l’energia contenuta in un barile di petrolio, dai processi di estrazione era possibile ricavare un’energia 100 volte maggiore. Negli anni’ 70 del secolo scorso questo valore si è abbassato a 23. Man mano che le risorse migliori si esauriscono il valore dell’EROEI inesorabilmente si abbassa. Oggi ci stiamo approssimando ad un valore medio di 10 [4]. Esattamente come per qualsiasi essere vivente, che spende una certa quantità di energia per procurarsi del cibo, e deve fare quindi un bilancio tra l’energia investita nella ricerca e quella ricavata consumandolo, anche le società umane hanno un loro metabolismo, e devono rispettare certi bilanci per poter mantenere funzionali le loro infrastrutture, continuando ad erogare i “servizi” che mantengono in vita il sistema. E’ stato calcolato che l’EROEI minimo perché una società possa crescere (fase anabolica) è pari a 6. Se si scende sotto a questo valore la società comincia a contrarsi e ridimensionarsi (fase catabolica) perdendo la funzionalità di alcuni servizi. Se questo valore scende al di sotto di 3, la società va incontro al collasso [5]energia

 Energia diversa, società diversa

 Nel suo articolo “Il problema non è tecnico” [6] Luca Pardi afferma “non esistono alternative ai combustibili fossili”. Con questa frase intende dire che non esistono fonti energetiche conosciute che ci consentano di mantenere un sistema di trasporti ed un modello economico globale come quello attuale, garantendo una produttività agricola paragonabile a quella che attraverso il modello di agricoltura “intensiva” che a tutt’oggi è ancora vigente, abbiamo potuto realizzare a partire dagli anni ‘60 del secolo scorso in poi. Questa resa eccezionalmente alta è avvenuta a discapito della sua rinnovabilità: purtroppo il suolo non riesce a reggerla nel tempo, e finisce con il diventare infertile. Dobbiamo convertirci rapidamente ad un modello di agricoltura biologica che miri a mantenere costante nel suolo la componente organica: in questo modo esso può mantenersi vitale.

 Sappiamo che possiamo ricavare energia pulita e rinnovabile grazie all’impiego di pannelli fotovoltaici, turbine eoliche, geotermia, moti delle correnti e delle maree, energia prodotta da gradienti salini, ma dobbiamo ricostruire e riprogettare nello stesso tempo la nostra società adattandola alle caratteristiche delle nuove fonti energetiche che andremo ad utilizzare. Queste nuove fonti energetiche non hanno lo EROEI dei combustibili fossili, ci forniscono soltanto energia elettrica; in alcuni casi sono intermittenti e richiedono che vengano costruite delle nuove infrastrutture, o che quelle esistenti vengano estese fino a garantire una copertura capillare.

 La Società a 2000W

 Nel 1998 i Politecnici di Zurigo e di Losanna hanno sviluppato un modello di Società denominata “a 2000W” [7] che si fonda sul ridimensionamento dei consumi pro capite di energia (che scende ad 1/3 rispetto ai valori attuali medi di un europeo) e sulla riduzione ad 1/8 delle emissioni di anidride carbonica di ciascun cittadino (una tonnellata annua pro capite al posto delle attuali 8). Questo modello è stato sperimentato a Zurigo, sottoponendone l’approvazione ad un referendum popolare che con la prevalenza al 76% dei sì, lo ha trasformato in legge locale. Nel 2016 il modello è stato approvato dal Parlamento Federale, e nel 2017 è stato reso attuativo con un referendum nazionale che con il 58% dei voti lo ha reso obiettivo vincolante al 2050.

 Il quartiere Stockacker sud, ultimato nell’ottobre 2017, è situato a Basilea in periferia di Berna in prossimità di un’autostrada; comprende diversi servizi tra cui un ristorante e 574 appartamenti. Gli edifici sono costruiti con cemento riciclato; essi si basano sull’utilizzo di spazi comuni come lavanderia, cucina, sala pranzo ed orto. Oltre agli spazi, gli abitanti condividono anche degli oggetti, come per esempio gli utensili per il bricolage e determinati elettrodomestici. In questo modo lo spazio abitativo privato non supera i 60 m2 pro capite. Al momento dell’acquisto, gli inquilini firmano un contratto con cui si privano volontariamente dell’automobile, impegnandosi ad utilizzare biciclette e mezzi di trasporto pubblici molto efficienti che lo Stato mette a loro disposizione gratuitamente. Inoltre si impegnano ad utilizzare l’aereo per non più di due ore l’anno a persona. Stockacker sud garantisce non solo la massima efficienza energetica, ma anche diversi vantaggi tra cui un’illuminazione naturale ottimale e spazi interni privi di sostanze inquinanti e a basso carico di radiazioni.

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Grandi problemi, e una consapevolezza ancora bassa

Nei duecentomila anni che vedono la comparsa di Homo Sapiens quale nuovo ospite del nostro Pianeta si sono sempre verificati dei cambiamenti climatici, ma non sono mai stati così rapidi e così profondi come quelli innescato dai repentini trasferimenti di carbonio conseguenti allo sfruttamento dei combustibili fossili, aggiunto alle massicce azioni di deforestazione e di cambiamento di utilizzo del suolo. Siamo i primi esemplari della nostra specie a vivere con 400 parti per milione in volume di anidride carbonica in atmosfera: per trovare un valore così alto occorre tornare indietro di almeno 3 milioni di anni, al tempo in cui esistevano gli ominidi che rappresentavano i nostri progenitori.

Il cambiamento climatico in atto non sta generando soltanto un incremento di temperatura, ma porta all’alterazione di tutti i meccanismi che sono alla base del complesso sistema termodinamico che consente di mantenere le condizioni fisiche chimiche e biologiche ottimali per poter supportare lo sviluppo della vita nella forma che oggi noi conosciamo. Stiamo assistendo ad un aumento di temperatura degli oceani, e al conseguente fenomeno di sbiancamento dei coralli, che muoiono andando a deprivare un milione di specie di un habitat essenziale per la loro sopravvivenza. I ghiacciai montani si sciolgono, alterando interi sistemi idrografici che sono essenziali per lo sviluppo umano. Anche i ghiacci polari si sciolgono, provocando un aumento dei livelli del mare che diventa incompatibile con gli insediamenti umani. Il cambiamento di temperatura e di salinità delle acque marine influenza il regolare funzionamento delle correnti, che sono fondamentali per distribuire uniformemente il calore terrestre, per ossigenare i mari e trasportarne ovunque i preziosi nutrienti. In aggiunta, le acque degli oceani si acidificano a causa dell’eccesso di CO2, e questo repentino cambiamento del pH non consente più agli scheletri e ai gusci delle creature marine di formarsi regolarmente. Queste modificazioni, unite al degrado di funzionalità degli ecosistemi causato dalla somma di tutte le nostre azioni, stano creando le premesse per un repentino cambio di stato del sistema terrestre, che nel giro di un tempo molto più breve di quanto noi ci possiamo immaginare potrebbe tramutarsi in un luogo molto inospitale, del tutto inadatto a supportare i nostri bisogni. Da un punto di vista ingegneristico sappiamo esattamente che cosa dovremmo fare per mitigare la magnitudo del cambiamento in atto, che potrebbe essere contenuta entro limiti accettabili. Il motivo per cui non lo facciamo è solo di matrice culturale: manca la consapevolezza che possa supportare un processo di transizione verso un nuovo modello di socioeconomia. Ross Koningstein e David Fork, due ingegneri che alcuni anni fa parteciparono ad un progetto di Google imperniato sulle energie rinnovabili [8], scrivono a questo proposito: c’è speranza di evitare il disastro se la nostra società prende coscienza della reale dimensione del problema, ed utilizza questa valutazione per ridefinire le sue priorità.

4^BC

 

Fonti:

[1] WCED, World Commission on Environment and Development, 1987 http://www.un-documents.net/our-common-future.pdf

[2] James Hansen, 2008 “Global Warming Twenty Years Later: Tipping Points Near”
http://www.columbia.edu/~jeh1/2008/TwentyYearsLater_20080623.pdf
[3] European Union – Joint Research Center “Critical metals in the path towards the decarbonisation of the EU Energy Sector. Assessing rare metals as supply-chain bottlenecks in low-carbon Energy Technologies”
http://setis.ec.europa.eu/system/files/Critical%20Metals%20Decarbonisation.pdf
[4]Hall et al., 2013″EROI of different fuels and the implications for society”
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0301421513003856Cleveland et O’Connor, 2011″Energy Return on Investment (EROI) of Oil Shale”
http://www.mdpi.com/2071-1050/3/11/2307
Brandt et al., 2015″Energy Return on Investment (EROI) for Forty Global Oilfields Using a Detailed Engineering-Based Model of Oil Production”
“The implications of the declining energy return on investment of oil production”.
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/24298084


[5] Hall et al., 2009  “What is the Minimum EROI that a Sustainable Society Must Have?” Energies 2009, 2(1), 25-47
http://www.mdpi.com/1996-1073/2/1/25

[6]Luca Pardi, Primo Ricercatore all’Istituto per i Processi Chimico-Fisici del CNR di Pisa, presidente di ASPO Italia “Il problema non è tecnico”
https://aspoitalia.wordpress.com/2014/12/22/il-problema-non-e-tecnico/

[7]Società a 2000W
http://www.2000watt.ch/it/

[8]Ross Koningstein and David Fork “What It Would Really Take to Reverse Climate Change”
https://spectrum.ieee.org/energy/renewables/what-it-would-really-take-to-reverse-climate-change

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