Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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Rappresentazione teatrale, “Napoli milionaria”

AUTORI
Leonardo Poncina, Andrea Cassarino e Giulia Venco, della 5DLS
Ultima modifica: 1 anno fa

Tempo di Lettura
~ 6 minuti
Valutazioni: 29
| Media: 4.6

L’opera lirica… un genere teatrale basato sulle abilità canore degli attori che sono accompagnati lungo l’intera esibizione da un’orchestra, elemento fondamentale dello spettacolo assieme alle voci. Questo genere nato anni or sono, intorno alla fine del Cinquecento, è tuttora altamente apprezzato dai diversi intenditori e appassionati di teatro a livello mondiale.

Noi ragazzi frequentanti le classi quarte e quinte dell’istituto superiore ITIS “G. Cardano”, sia dell’indirizzo liceo delle scienze applicate che dell’istituto tecnico, abbiamo avuto l’opportunità di partecipare alla prova generale di una commedia presentata solo cinque o sei volte in Italia, “Napoli Milionaria” di Eduardo De Filippo, e ad avere un incontro privato con il direttore d’opera, quello d’orchestra e un consulente musicale.

 

Vista sulla platea dal 2° ordine

 

Nella mattinata di lunedì 14 novembre, piuttosto che trascorrere un’altra ordinaria giornata sui banchi scolastici, ci siamo recati quindi al teatro Fraschini, accolti all’interno e fatti accomodare nelle prime file della platea campaniforme. Mentre prendevamo posto abbiamo avuto l’opportunità di ammirare il teatro svuotato della folla che di solito vi è presente, un’esperienza non da tutti i giorni. Una volta seduti ci è stato dato il benvenuto dal direttore del teatro Fraschini, che ha anche ricordato l’avvicinarsi del 250° anniversario dell’apertura del teatro Fraschini nel 2023, per evidenziare il valore storico del teatro pavese. 

Siamo quindi stati lasciati alla presentazione dell’opera da parte di tre figure impegnate nella sua realizzazione: il direttore d’orchestra d’oltreoceano James Fedek, il direttore dell’opera Arturo Cirillo ed il consulente musicale Jacopo Brusa. A prendere parola inizialmente è Brusa che, prima di incominciare a parlare dell’opera nello specifico, tenta di dare l’idea di quanto lavoro vi sia dietro la realizzazione di un’opera lirica quale è Napoli Milionaria, che subito ci presenta come un’opera un po’ anacronistica. Già negli anni Settanta del Novecento il melodramma italiano era in crisi, e Nino Rota, intervenne per cercare di riportare in auge questa tradizione che stava andando scomparendo, introducendo degli elementi di novità, mutuandoli dalla tradizione americana, con la quale i napoletani entrarono in contatto nel Secondo Dopoguerra, per esempio inserendo tra gli strumenti dell’orchestra anche la batteria, innovazione assoluta nella tradizione lirica italiana. Nonostante ciò non riesce nella sua impresa, la sua opera è inizialmente un fiasco: negli ultimi cinquant’anni l’opera è stata rappresentata solo cinque volte, l’ultima nel 2010 a Martina Franca, in occasione del 30° Festival della Valle d’Itria. La rappresentazione della durata complessiva di due ore, divisa in tre atti, è sempre accompagnata dalla musica, essendo un’opera lirica. Dopodiché interviene Cirillo che ci introduce effettivamente alla trama dell’opera, ci spiega come sia ambientata nella Napoli della seconda guerra mondiale, in due momenti cronologici differenti, il primo nel 1942 ci presenta la vita di un’ umile famiglia dei “bassi napoletani”, le abitazioni a livello o sotto la strada, gli Jovine, con Gennaro il capofamiglia, Amalia la moglie, i figli Amedeo, Mariarosa e Rituccia. Nella storia si vive il dramma della mancanza di un capofamiglia: il padre inizialmente assume atteggiamenti di noncuranza, non si prende nessuna responsabilità, ma, prima che la storia si concluda, cambia atteggiamento e si ravvede. La moglie sopravvive praticando la “borsa nera”,  pratica illegale, diffusasi in quel periodo, con cui alcune persone sfruttavano la mancanza dei beni di prima necessità per istituire un mercato segreto nel quale questi beni venivano venduti a prezzi molto elevati. Gennaro non è favorevole perché teme l’intervento della Guardia di Finanza; e come in ogni dramma tragicomico è proprio ciò che accade: nella scena più divertente dell’opera gli Jovine, durante un controllo, fingono la morte del capofamiglia, ed essendo irrispettoso toccare i morti oltre che di malaugurio, sperano così di evitare una perquisizione approfondita. La scena è particolarmente nota al mondo cinematografico grazie alla reinterpretazione di Fantozzi, mentre il capofamiglia si finge morto, avviene un bombardamento, ed i militari per non abbandonare il presunto cadavere rimangono con lui in attesa della fine del bombardamento.

 

Scena del finto morto

 

Nella seconda parte siamo nel 1945, alla fine della guerra, quando gli Americani sono sbarcati a Napoli per liberarla dall’occupazione tedesca. Ed è qui che ci si concentra su due delle grandi questioni di quegli anni: le fanciulle che, sedotte dai soldati Americani ed ingannate dalle loro promesse d’amore sono costrette a crescere da sole i propri figli una volta che, i padri, richiamati, partono per tornare in patria; ed i reduci di guerra, con Gennaro che rimane irrimediabilmente segnato dagli orrori del conflitto, che ripetutamente gli tornano in mente. Durante questa presentazione ci è stata anche concessa una piccola sbirciata alla ‘scenografia’ già montata sul palco, fino ad allora nascosta dal sipario.

 

Vista sulla sceneggiatura dal fondo della platea

 

A questo punto il direttore d’orchestra Fedek  si esprime nella sua lingua originale, l’inglese, non mancando comunque di chiarezza, e ci trasmette la sua passione per la musica ed in particolare la sua stima per quest’opera lirica che reputa geniale. Sottolinea quanto in essa siano presenti citazioni molto varie dal pop, all’inno tedesco ed americano, alla canzone napoletana “O sole mio”, tutte perfettamente equilibrate e fuse in un unico armonico impianto compositivo. Con queste premesse ci siamo salutati, con la promessa di rivederci due giorni dopo in occasione della prova principale. 

Ed è così che il 16 novembre, sul far della sera, ci siamo ritrovati, infreddoliti, sotto il portico del Fraschini, con un anticipo che di tutti era d’alto rispetto, dandoci l’occasione per conversare. Eravamo forse abbastanza eleganti? Chi aveva l’abito migliore e come sarebbe stata l’opera? L’incontro tanto partecipato del lunedì non ci aveva, di certo, adeguatamente preparato a ciò cui avremmo assistito, e può sembrare una frase di rito, ma la rappresentazione e la musica erano per davvero sopra ad ogni nostra possibile ed immaginabile previsione.

Accolti dal personale del teatro, compiaciuto nel vedere tanti ragazzi per un qualcosa che tradizionalmente, ed erroneamente, vogliamo far appartenere ad un’altra epoca, ci siamo accomodati in quelli che senz’altro sono i posti migliori: la prima e la seconda fila della platea, gli unici posizionamenti che consentono di stare tanto vicino ai cantanti sul palco, ma, allo stesso tempo, di guardare l’orchestra, che, essendo alloggiata nel golfo mistico, che funge come da grande cassa di risonanza, non sarebbe altrimenti visibile. Ogni atto era introdotto da un qualche minuto di esecuzione musicale a sipario chiuso, che quasi fungeva da premonizione al sentimento predominante d’ognuna delle tre sequenze di rappresentazione, così intervallate, predisponendoci nel giusto umore. 

Gli atti scorrevano così veloci, prima divertenti, quasi da commedia, tanto bene interpretata dalla simpatia degli attori e dall’accuratezza delle battute, e dal coro, impersonante il popolo di Napoli e la sua saggezza volgare (nel desueto significato di popolare); passando al secondo atto, equilibrio quasi perfetto tra elementi tragici e comici (nonché da un’inaspettata esecuzione di danza), caratterizzato da una scenografia molto più dinamica rispetto agli altri atti, ed una musica combinante elementi classici e moderni, in particolare dei generi statunitensi, come lo swing e il jazz, per coniugare la presenza dei nuovi personaggi americani al substrato partenopeo; ed al terzo, forse il meno piacevole per un pubblico non abituato ai ritmi che l’opera può contemplare: un’altalena di andirivieni, alla tavola degli Jovine, culminante nella tragedia finale, che, seppur di celerissimo accadimento (non facciamo spoiler), si trascina, come una lunga agonia, partecipata da tutti i personaggi, quasi inconcludente nel suo finale. Essendo per molti di noi il “battesimo dell’opera”,  assistere dal vivo ad uno spettacolo di questo genere, pur trattandosi della prova generale, ci ha lasciato indubbiamente senza parole. Ai giorni nostri è molto ridotto il numero di adolescenti che apprezzano e seguono la lirica e la maggior parte di questi non ha mai assistito ad un spettacolo dal vivo. Questa opportunità ha avuto certamente l’obiettivo di avvicinare i giovani a una realtà ormai quasi dimenticata da gran parte di noi. Ci ha fatto riflettere su quanto noi adolescenti trascuriamo aspetti della nostra cultura e dell’arte che sono patrimonio comune, aprendo i nostri cuori al mondo della lirica e fornendoci gli strumenti per elaborare un giudizio concreto e attendibile sul genere, invece che scartarlo a priori basandosi su opinioni altrui e luoghi comuni.

Leonardo Poncina, Andrea Cassarino e Giulia Venco, della 5DLS

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