Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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La lama teocratica contro le proteste

AUTORI
Gabriele Notarangelo e Giovanni Rossi 4 BLS
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L’Iran è da sempre stato luogo di incrocio tra popoli e culture diverse; dapprima sede di potenti imperi, in seguito caduto sotto il controllo di dinastie arabe e di stati coloniali europei fino alla deriva isolazionista, sociale e politica, successiva alla rivoluzione teocratica del 1979.

Fondamentale fu il ruolo di Khomeini, carismatico leader della rivoluzione, il quale, dopo un lungo esilio, è diventato il simbolo della lotta contro la colonizzazione e l’Occidente, imponendo la teocrazia e mettendo al bando ogni forma di pluralismo o di dissenso. Il khomeinismo, divenuto egemonico tra gli sciiti, deve fare i conti ora con l’emergere di un movimento capeggiato dall’Alleanza dei giovani iraniani e promotore dei tre giorni di mobilitazione nazionale del 5-7 dicembre 2022. Le mancate riforme necessarie a modernizzare il Paese nel nuovo millennio per metterlo al passo con la modernità, insieme alla corruzione dilagante e alla cattiva gestione della pandemia, alla forte limitazione delle libertà individuali, alla pressione continua della polizia morale, hanno portato a un’ondata anti teocratica e antireligiosa.

Ma esiste ancora la possibilità di una riforma salvifica e riformista dell’Iran.

Altrove, in effetti, qualcosa si sta muovendo. Il riformismo dall’alto in Arabia Saudita sta emarginando la corrente intransigente wahhabita e la fine del khomeinismo potrebbe consentire all’Islam di liberarsi dagli estremismi che ne hanno segnato la storia recente.

È indubbio come la prima fase del regime khomeinista in Iran abbia visto una trasformazione sociale, con un accesso all’istruzione per le donne e opportunità di crescita sociale per i ceti più poveri. Tuttavia, nel nuovo millennio il regime degli ayatollah non è stato in grado di interpretare le domande della società iraniana.

Le recenti proteste hanno ricevuto una spinta dal violento episodio dell’uccisione di Mahsa Amini e sono divenute vere e proprie rivolte dei giovani contro un regime poco liberale e troppo attaccato alle regole della religione. Amini aveva mancato all’osservanza della legge sull’obbligo del velo, importante simbolo per la religione islamica, e ciò ha provocato la sua presa in custodia da parte della polizia.

Successivamente all’arresto la ragazza è stata portata d’urgenza in ospedale per   gravi lesioni fisiche e il 16 settembre ‘22 è deceduta per un’emorragia celebrale.

Dal 16 Settembre, data della morte per mano della polizia di Mahsa Amini, ad oggi l’Iran è stato ed è tuttora percorso dal fuoco di innumerevoli manifestazioni in favore dell’estensione dei diritti fondamentali dell’individuo. Ma la risposta repressiva del regime teocratico ha portato a un incremento di condanne a morte e di arresti. A niente è servito il dissenso internazionale e a niente hanno portato le false promesse di distensione della guida suprema Ali Khamenei.

Il numero di casi di torture e soprusi è in costante aumento, ma spaventa soprattutto il sempre più largo utilizzo della pena di morte, in Iran storicamente rappresentata dall’impiccagione in pubblica piazza.

Amnesty International condanna già da anni il fenomeno delle esecuzioni nelle prigioni iraniane, all’incirca 300/400 all’anno, con innumerevoli condanne anche di  donne e ragazze. Negli ultimi due mesi la magistratura iraniana ha confermato ben 11 condanne a morte per la partecipazione di cittadini alle recenti proteste in piazza. I familiari, come la mamma di Mahsa, che osano denunciare, finiscono nel mirino della polizia morale, la quale si è spesso resa responsabile di sparizioni ed omicidi mirati all’eliminazione dei presunti dissidenti nel paese.

Numeri in costante crescita, che mostrano in maniera chiara l’acutizzarsi dei già violenti episodi di oppressione statale.

 

Gabriele Notarangelo e Giovanni Rossi 4 BLS

 

 

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