Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

---

Non aprite quella chiusa

AUTORI
L.Castoldi e L. Poncina Classe 4 DLS
Ultima modifica: 2 anni fa

Tempo di Lettura
~ 4 minuti
Valutazioni: 17
| Media: 3.9

Il Naviglio Pavese, che erroneamente vogliamo far risalire ai fasti del Rinascimento (con le famose chiuse leonardesche), è in realtà figlio della dominazione spagnola e successivamente francese. L’equivoco nasce dalla presenza del Navigliaccio, attiguo al Naviglio nel tratto tra Pavia e Binasco, che effettivamente fu realizzato nel corso del ‘400, ma che venne successivamente abbandonato a seguito dell’incuria, e dall’esistenza del Naviglio della Martesana di cui effettivamente Da Vinci fu il primo ad elaborare un teorico sistema di chiuse. Il nostro Naviglio, a differenza di quello che si potrebbe pensare, per questioni di esclusività economica, fu ostacolato in tutti i modi da coloro da cui prende il nome. Complice la mano napoleonica, ben più imperativa dei bonari spagnoli, i pavesi furono costretti ad accettare il completamento del Naviglio a corredo di un discreto distretto industriale e commerciale, cui maggior simbolo sono i porticati del Borgo Calvenzano, non lontano dalla confluenza con il Ticino

Unica via di collegamento col fiume Po  per la città di Milano, insieme ad altri navigli come il Naviglio Grande o il già citato Naviglio della Martesana, è parte di un vastissimo sistema di canali urbani, che in epoche passate potevano far equivocare la città meneghina per un’altra Venezia. Con la rampante urbanizzazione, i canali più piccoli, che si insinuavano fra strette vie su schemi urbanistici medievali, vennero interrati, complice senz’altro l’insalubrità portata da un tale quantitativo di corsi d’acqua in una città, che in epoca classica, era stata fondata sostanzialmente nelle paludi.

Negli ultimi vent’anni il patrimonio dei navigli, progressivamente trascurato a partire dagli anni ‘60, quando venne negata la navigazione delle ultime chiatte insieme alla balneazione per via dei pericolosi livelli di inquinamento (i navigli sono ancora oggi, in alcuni punti, sbocchi di scarico per le acque reflue), è stato sostanzialmente rivalutato. Punta di diamante di questa riqualificazione sono la darsena e i navigli nel tratto milanese, zona che è passata da sede di sobborghi popolari, con le famose case di ringhiera, ad epicentro della vita notturna. Nelle campagne, tuttavia, l’incuria raggiunge livelli di totale abbandono a partire dagli argini, in buona parte dei tratti ceduti, dalla generale sporcizia dei fondali e dei cigli, mista alla decadenza delle antiche strutture di chiusa e degli innumerevoli ponti in metallo che, nel tratto da Binasco a Pavia, sono tutti inagibili e totalmente corrosi da una ruggine quasi secolare.

Numerosi sono i progetti di riqualificazione urbanistica che comprendono il recupero delle strutture adiacenti e delle zone verdi abbandonate. A soffrire dello scarso interesse delle autorità, non sono solo i navigli ma anche diversi complessi produttivi del passato e del presente che vi si affacciano. Un esempio è la famosa fabbrica Molini Certosa (nell’Ottocento, comprendeva dei mulini ad acqua, che attingevano da una deviazione del Naviglio) che, a seguito di alcune ingenti modificazioni strutturali, tali da adattare lo stabilimento agli standard moderni, ha visto, accanto al corpo principale della fabbrica, risalente al diciannovesimo secolo ed inserito nella lista dei beni storico-industriali, l’aggiunta di moderne strutture in lamiera, insieme ad alcuni silos, deturpanti e del tutto non in linea con l’architettura originale.

Il maggior problema della manutenzione del Naviglio Pavese e delle zone direttamente attigue coinvolgerebbe la Provincia. L’intero tratto è infatti soggetto alla competenza provinciale, mentre i comuni attraversati dal Naviglio, anche volendo, non possono intervenire. Vuoi per scarso interesse politico-amministrativo, vuoi  per la mancanza di fondi regionali e statali, il canale rimane sofferente alla vista di coloro che vivono quotidianamente sul suo corso, mentre in altre parti del mondo, come da oltremanica, ci arrivano dimostrazioni di un possibile recupero paesaggistico in grado di valorizzare al meglio ex aree industriali. Sulla sponda sud del Tamigi, ad esempio, la vecchia centrale termoelettrica di Bankside, abbandonata dal 1981, dopo cinque anni di lavori venne sostituita dalla Tate Modern, uno dei più innovativi e visitati musei del mondo, che ha toccato qualche anno fa il record dei quattro milioni di ingressi l’anno.

Ci vorrebbe davvero poco per trasformare la desolazione post-industriale, vera definizione dei tratti urbani del Naviglio Pavese, in qualcosa che possa davvero stare al passo con il nostro secolo, persa ogni reale funzione pratica. Ancora una volta, il nostro Paese è reso schiavo delle proprie catene, incapace nella sua amministrazione e nella sua burocrazia, lenta e carente, talvolta ostacolante nella sua imperitura inefficienza, di valorizzare la propria storia ed il proprio patrimonio culturale, invero, il maggiore del mondo.

Le idee non ci mancano, i progetti sono sempre tanti. Dobbiamo solo agire.

Guarda il nostro reportage

Fonti

L.Castoldi e L. Poncina Classe 4 DLS

Valutazioni: 17 | Media: 3.9

Nessun voto finora, Sii il primo a votare!

Leggi anche...
13 gennaio 2022, un triste anniversario. Familiari delle vittime, soccorritori,…
Home
Cerca
Articoli
Inserti
Archivi
Chi Siamo