Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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La Felicità non esiste

AUTORI
Marco Ghezzi, classe 5ICLS.
Ultima modifica: 1 anno fa

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~ 3 minuti
Valutazioni: 12
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Quante volte in una sola giornata si può passare dal sentirsi in cima al mondo e non riuscire a smettere di sorridere allo sprofondare fino a toccare il fondo della Fossa delle Marianne, dove ci aspettano tristezza e pianti inconsolabili?

Me lo sono chiesto qualche giorno fa, quando ho pensato di aver ufficialmente battuto il record personale di sbalzi d’umore in una giornata sola. Impressionante. Dev’essere stata una giornata molto pesante, nulla di più; non si può certo pensare di poter arrivare a definire il concetto di felicità universale partendo da una domanda tanto infima… giusto? Perché potrebbe essermi capitato durante uno di quelli che chiamo “attacchi di filosofia”: uno di quei magici momenti in cui lascio viaggiare libero il flusso dei miei pensieri abbandonandomi alla curiosità, lasciando a lei le redini, ogni volta impaziente di scoprire dove mi condurrà.

Quella sera mi sentivo particolarmente sensibile. Mi venne naturale chiedermi “Perché?” e “Che importanza avranno queste emozioni che poi spesso mi ritrovo a dover reprimere o domare?”. Collegai istintivamente le parole emotività e felicità, giungendo quindi al grande quesito finale: “Ma che è ‘sta felicità?”. Sì, la mia voce interiore parla in romanaccio, non so perché.

Nel pormi la domanda, non ne percepii immediatamente la grande potenza; anzi, è probabile che divagai pensando a cosa avrei mangiato a merenda, ma poi tornarono alla mente quelle parole e sentii un vuoto incredibilmente opprimente riempirmi il petto. Era arrivato quel momento di adrenalina che solo una sfida, che si prospetta ardua da compiere, riesce a provocarmi. Quel vuoto andava colmato e con una risposta soddisfacente, a tutti i costi; ormai era una questione di vita o di morte.

Poi mi chiedono perché non studio a casa…

Pronto a spenderci intere ore, mi tuffai nella mia stessa mente in cerca di pezzi di informazioni che potessero essermi utili, articoli letti o esperienze personali e si costruì un’immagine: una bacheca piena di fotografie e ritagli di giornale collegati da fili rossi, come fa il detective al culmine di ogni film giallo che si rispetti.

Ed ecco il quadro completo.

Il contesto storico condizionato da una società capitalista, consumista, materialista, influenzata dall’impero dei media, che detta legge, decide ciò che vogliamo, ci dà ciò che ci appaga e ce lo dà subito. Un contesto nel quale vivono più generazioni tutte viziate, cullate dall’illusione di poter avere tutto, anche arrivando a calpestare il prossimo per ottenerlo. Il concetto ideale di uomo felice, pubblicizzato da persone che si arricchiscono col piacere e l’appagamento, pervade ogni angolo di ogni città del pianeta e si aggrappa persino al più umile degli abitanti, portandolo ad idolatrare personaggi che spiccano solo perché favoriti da una spropositata improponibile prosperità economica e a convincersi di poter concretizzare il raggiungimento della perfezione ideale solo attraverso l’infinito accumulo di beni materiali e l’insensata competizione, come si dice in gergo, “A chi ce l’ha più grosso” (si parla del capitale, sia chiaro!).

Il contesto culturale, che dovrebbe formare ed educare le giovani menti, evolutosi ovviamente a braccetto con la storia, ha portato poi ad un impoverimento culturale dovuto a valori che di valore non ne hanno.

Infine l’esperienza personale, passivamente influenzata da ognuno di questi aspetti che paiono tanto al di fuori dalla nostra portata, dalla nostra vita quotidiana, così lontani nel tempo ma che alla fine fanno di parte di noi. L’accettazione di questa ineluttabile verità è indispensabile, a mio parere, per avvicinarsi alla comprensione del complesso sistema in cui viviamo e quindi alla risposta finale.

Io la chiamo “L’arte dell’accontentarsi”. Ecco cos’è la felicità.

Sembrerà a prima vista una visione vicina a quella di Schopenhauer, se dico che la felicità non esiste ed è solo un costrutto sociale creato dall’essere umano per cercare di giustificare la propria esistenza e sentirsi valorizzati, nell’avere un motivo di vivere e un obbiettivo da raggiungere. Forse ancora di più se affermo, come fece anch’egli, che la felicità è irraggiungibile data la costrizione delle nostre esistenze in un perenne stato di conflitto e dolore. Non mi è mai piaciuto quell’uomo, non sono solito citarlo. Mi “accontenterò” di citare Epicuro, invece, che disse:

“La Felicità non consiste nell’acquistare e godere, ma nel non desiderare nulla, perché consiste nell’essere liberi”.

Ecco, lui l’aveva capito, molto prima di tutti noi.

Marco Ghezzi, classe 5ICLS.

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