Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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Ninfee e ponti giapponesi invadono i Navigli

AUTORI
Luca Castoldi - 4^DLS
Ultima modifica: 2 anni fa

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~ 6 minuti
Valutazioni: 28
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Milano, città imprenditoriale e dinamica, tra grattacieli e sedi di grandi industrie, è da sempre uno dei centri culturali più importanti d’Italia. A prima vista, nella frenesia di una moderna metropoli, ci si potrebbe domandare quale spazio rimane a vecchi quadri e statue impolverate, residui severi di un passato quasi arcaico e lontano da noi. A lungo il processo di museificazione, criticato dai futuristi che lo ritenevano estraniante e borghese, ha permesso mai come prima di poter ammirare opere provenienti da tutto il mondo e democratizzare la cultura, ambiente, in precedenza, esclusiva prerogativa e occupazione delle classi aristocratiche. Si può quindi affermare che: l’arte, intesa come tramite rappresentativo, termine al quale ancora oggi fatichiamo a dare una definizione precisa, sia il mezzo più democratico che l’uomo abbia mai concepito. Che si tratti di una pellicola cinematografica, un libro o un dipinto l’artista instaura un dialogo con il pubblico come un oratore fa a un comizio e, attraverso il quale, veicola un messaggio. Oggi, tuttavia, a causa del nostro stile di vita convulso e sovrastimolato, e della recente emergenza sanitaria dovuta al covid-19, tale spazio, in passato avvertito come un vero e proprio evento sociale, sta perdendo sempre più rilevanza. Nel 2020 i musei lombardi hanno complessivamente registrato 2.483.419 visitatori a fronte dei quasi 10 milioni totalizzati sia nel 2019 che nel 2018 attestando un calo di ingressi intorno al 75%, tendenza che i dati 2021 sembrano riconfermare. In tal senso, a combattere questo fenomeno, i numerosi musei della città meneghina, sono un valido esempio di come l’esposizione artistica sia ancora un abile luogo di riflessione. Tra essi spicca Palazzo Reale, centro nevralgico della vita artistica milanese, capace di accogliere mostre di rilevanza internazionale e che dopo il grande successo riscosso in Corea, a Bruxelles, in Inghilterra e in Spagna, fa approdare finalmente a Milano la mostra di Monet inaugurando la stagione 2021-2022.

 Veduta di Palazzo Reale a Milano

L’evento, organizzato in collaborazione col Musée Marmottan Monet, ha ospitato cinquanta tra le opere più suggestive dell’artista francese. Inserita all’interno delle sale di Palazzo Reale a Milano, le opere seguono un percorso cronologico, dalle prime tele impressioniste fino agli ultimi quadri del 1926. La mostra si apre con una piccola selezione di arredi napoleonici, a testimoniare il profondo legame tra Paul Marmottan, collezionista d’arte e appassionato di architettura e arredi ottocenteschi, e Palazzo Reale che visitò molto probabilmente tra il 1904 e il 1905. Di seguito alcuni quadri di artisti minori introducono al fulcro centrale della mostra: la sezione dedicata a Monet. Qui si viene accolti da un’opera di piccole dimensioni, un ritratto di Monet, di Charles Giron, datato 1884.

 Ritratto di Monet, Charles Giron (1850-1914)

Della vita privata dell’artista conosciamo poco: nato a Parigi, il 14 novembre 1840, e morto a Giverny, il 5 dicembre 1926, di carattere schivo e pensoso, Claude ebbe due mogli e due figli maschi, Michel e Jean. La sua attività artistica si suddivide in vari periodi che seguono il decorrere personale del pittore come un lungo diario di vita quotidiana racchiuso in un piccolo giardino. Charles Giron in quest’opera riesce a catturare tale essenza, misteriosa e al tempo stesso concreta, introducendoci nel mondo interiore dell’artista. Seguono successivamente alcune tele risalenti al soggiorno in Olanda, una delle mete favorite di Monet. In particolare, sovviene fermarsi su alcuni quadri in “plein air” tra cui spicca “Veduta del Voorzaan”, che mostra il piccolo porto olandese con alcune imbarcazioni, definite da piccole e semplici pennellate.

 Veduta del Voorzaan, Claude Monet (1840-1926)

A quest’opera viene affiancato “Veliero con la bassa marea” di Eugène Boudin a sottolineare l’importante influenza che il pittore normanno ebbe sul giovane Monet. Figlio di un marinaio, prima di dedicarsi alla carriera di pittore, era proprietario di un negozio di cartoleria e cornici a Le Havre, fu proprio Boudin a introdurre Claude alla pittura di paesaggio dopo aver apprezzato i suoi disegni giovanili. Tra le opere del periodo normanno, inoltre, nella mostra è presente una piccola tela che Monet dipinse durante una visita presso alcuni amici. Essa raffigura una giornata alla spiaggia di Trouville. In primo piano Camille Doncieux, prima moglie del pittore, e sua cugina posano in vesti da villeggiatura mentre sullo sfondo paesaggio e personaggi secondari formano un unicum fondendo insieme atmosfera e soggetto.

Sulla spiaggia a Trouville, Claude Monet (1840-1926)

Intorno al 1870 Monet si trasferisce in un paesino nei pressi di Argenteuil, lungo la Senna, saranno proprio questi paesaggi a ispirare numerose tele “moderne” dell’artista parigino come le vedute del ponte ferroviario di Argenteuil, raffigurato in diversi orari e stagioni. Nella mostra seguono le opere del periodo londinese. Londra, città moderna e vivace, accoglierà l’artista più volte che la visiterà fino ai primi anni del 1900 e di cui dirà successivamente: “Senza nebbia Londra non sarebbe una magnifica città. È la nebbia che le dà il suo magnifico respiro”. Partendo da tale osservazione i due quadri principali di questo periodo presenti a Palazzo Reale, “Ponte ferroviario di Charing Cross” e “Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi”, sono caratterizzati da una fitta coltre di nebbia che delimita e quasi nasconde i soggetti.

 Ponte ferroviario di Charing Cross, Claude Monet (1840-1926)

Londra. Parlamento. Riflessi sul Tamigi, Claude Monet (1840-1926)

All’inizio del 1800 Monet si trasferì stabilmente a Giverny dove fece costruire un enorme giardino di ispirazione orientale, la progettazione avvenne con grande cura ma al tempo stesso con l’esigenza di sistemare rapidamente i fiori per far si che l’artista avesse dei soggetti da dipingere sia restando in casa nei giorni di pioggia, sia all’aperto nelle giornate di sole. È a questo periodo che risalgono le sue opere più famose, prime tra tutte le serie delle ninfee che accompagnerà il pittore fino agli ultimi anni della sua vita. In questa parte del percorso quindi si possono osservare: “Emerocallidi”, quadro in cui il gruppo di fiori originari della Cina viene impostato con tratti vivaci e delicati, una serie di ninfee in cui l’artista esclude totalmente il paesaggio circostante per concentrarsi sul laghetto che fa da sfondo con i suoi riflessi.

Emerocallidi, Claude Monet (1840-1926)

Ninfee, 1903, Claude Monet (1840-1926)

A conclusione della mostra ci vengono presentate le opere mature di Monet. Oramai ottantenne, l’artista soffriva da tempo di cataratta che negli ultimi anni di vita gli impedì di distinguere chiaramente le immagini. In questa sezione opere come: “Salice piangente”, “Il viale delle rose” e la serie sui ponti giapponesi tenderanno sempre di più all’astrazione in cui soggetto rappresentato, paesaggio e colore si fonderanno in un unico corpo rappresentativo.

Salice Piangente, Claude Monet (1840-1926)

Il viale delle rose, Claude Monet (1840-1926)

Il ponte giapponese, Claude Monet (1840-1926)

Alla fine della mostra il padiglione che ospita l’ultima opera dell’artista “Le Rose”, la tavolozza personale del pittore e i suoi occhiali, concludono il percorso con una sensazione quasi liturgica e malinconica rappresentando il crescendo ideale che imprime al visitatore una sensazione indelebile.

Le Rose, Claude Monet (1840-1926)

All’interno della mostra vanno inoltre segnalate due installazioni del tutto nuove, costituite da sale multimediali in cui video ad alta definizione del giardino di Giverny vengono proiettati sulle pareti, garantendo così all’ospite una completa immersione nel mondo di Monet. Ci auguriamo, infine, che iniziative internazionali come questa possano riaprire al meglio la stagione museale e riavvicinare il grande pubblico al mondo della cultura.

Luca Castoldi – 4^DLS

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