Noi studenti delle classi 4ALS e 4DLS stiamo promuovendo un progetto proposto dal Jane Goodall Institute Italia (JGI), volto a ridurre lo sfruttamento di risorse minerarie che compongono i telefoni cellulari e altre apparecchiature elettroniche, veri e propri scrigni di materie prime, alcune delle quali rare.
Per questo motivo, quando decidiamo di sostituire il nostro cellulare con uno nuovo, non dovremmo gettarlo in qualche cestino senza riflettere sulle conseguenze di questa semplice azione. A dispetto delle apparenze, un normale cellulare è composto da più di 50 elementi chimici diversi! La vibrazione, per esempio, si verifica grazie alla presenza del neodimio, mentre lo schermo contiene tracce di indio per il touch screen. O ancora, lo stagno e il piombo sono utilizzati per saldare l’elettronica nel telefono.
Attualmente ci sono 34 miliardi di telefoni, tablet e altri computer in circolazione nel mondo: queste apparecchiature sono la porta di accesso per 4,6 miliardi di utenti alla rete informatica mondiale. Solo meno del 20% dei rifiuti elettronici viene recuperato e riciclato. Da questi dati si può dedurre che la quantità di rifiuti generata dagli apparecchi elettronici è enorme: si parla di più di 2000 tonnellate solo in Italia!
Se questi dati non sono sufficienti per convincervi di quanto sia importante il riciclo dei cellulari, sappiate che la produzione dei dispositivi elettronici non genera solo un grave danno all’ambiente.
L’aumento della richiesta mondiale di minerali per la costruzione di dispositivi elettronici sta generando un’accesa lotta per il controllo dei territori in cui si concentra l’estrazione.
Il 60% del cobalto, il cosiddetto “petrolio del futuro”, per citare solo uno dei metalli contenuti in un cellulare, proviene dalle riserve del Congo, terra molto ricca, tra l’altro, di coltan, oro, argento e uranio. Viene poi immesso nel mercato, quasi esclusivamente cinese, che lo lavora e crea i circuiti per i telefoni.
Per l’estrazione vengono sfruttati bambini, anche molto piccoli, per 2 dollari ogni 12 ore di lavoro: la ricerca può durare anche più giorni e non si viene pagati finché non si tira fuori qualche grammo. Secondo le ultime stime, per esempio, sono circa 40.000 i ragazzi e le ragazze minorenni impegnati nelle miniere del sud della Repubblica democratica del Congo.
Questi giovani lavorano in condizioni estreme, si ammalano prima e più dei loro coetanei. Rischiano ogni giorno incidenti sul lavoro a causa di carichi troppo pesanti, fino alla morte per i frequenti crolli nelle grotte rudimentali. Spesso sono picchiati e maltrattati dalle guardie della sicurezza se oltrepassano i confini della miniera. Alcuni di loro lavorano dopo aver frequentato la scuola, altri hanno per necessità abbandonato gli studi e qualsiasi prospettiva di migliorare la propria condizione di vita.