Giornale dell'I.T.I.S. "G. Cardano" - Pavia

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AUGURARSI BUON VENTO

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AUGURARSI BUON VENTO
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Campionato italiano monotono J24 2023

In ogni sport a squadre c’è un modo intimo e personale di augurarsi buona fortuna, nella vela ci si augura buon vento. Questa breve espressione non è solo un gergo velico, ma è anche l’augurio migliore che si possa fare a un velista, in quanto il vento e le condizioni atmosferiche in generale sono i fattori più importanti quando si deve partecipare a una regata.

Le condizioni atmosferiche, la corretta manutenzione dell’imbarcazione, una perfetta messa a punto delle vele, sono punti fondamentali per una competizione, ma la cosa davvero essenziale è l’equipaggio. Infatti quest’ultimo deve essere perfettamente sincronizzato, pronto a collaborare: ogni membro, oltre a conoscere perfettamente il proprio ruolo, deve sapere anche quello degli altri, al fine di assecondare le manovre.

Tra tutti gli sport a squadre, la vela è sicuramente fra quelli che richiedono maggior coesione e affiatamento per far fronte ai vari fattori esterni: essi sono molti e riguardano sicuramente le condizioni climatiche, quelle del mare e problemi tecnici che possono sorgere e devono essere risolti nel minor tempo possibile.

È anche uno sport di altissima concentrazione; ad esempio, la preparazione alla partenza, che è una fase molto importante, richiede tanta attenzione da parte di ogni membro dell’equipaggio e non solo del timoniere, che ha in mano il timone (l’organo di governo) e deve quindi dirigere la barca verso il punto di partenza allo scadere del conto alla rovescia. In questo momento la barca è carica come una molla, pronta ad esprimere la sua massima potenza allo scoccare del via; ora gli altri membri dell’equipaggio sono pronti a raggiungere le proprie posizioni, lavorando in maniera veloce e sincronizzata al fine di ottenere la migliore performance dall’imbarcazione.

Per andare a vela non basta conoscere i venti e le maree, ma è fondamentale capire che la manovra effettuata da una persona deve essere assecondata e assistita dal resto dell’equipaggio, altrimenti è molto facile perdere velocità o causare danni o peggio farsi male.

Non è sicuramente da trascurare anche lo sforzo fisico, basti pensare che stare in equilibrio con mare formato richiede un grosso impegno muscolare, inoltre ognuno ha le proprie mansioni da svolgere che necessitano di un fisico agile e allenato.

Sicuramente un ruolo molto importante è quello del tattico, il quale decide la strategia da adottare, tenendo conto del vento, dei suoi improvvisi cambiamenti, delle correnti e anche degli avversari. È fondamentale anche una conoscenza del campo di regata, non a caso le imbarcazioni del posto spesso sono più avvantaggiate.

Le regate che più mi appassionano sono le cosiddette “monotipo”, ovvero competizioni in cui possono partecipare solo barche uguali, per questa ragione a fare la differenza sono l’affiatamento e la coordinazione dell’equipaggio, la strategia e la messa a punto.

Esse si dividono in diverse tipologie: possono essere “costiere”, le imbarcazioni percorrono un tratto disposto lungo la costa oppure, più tecnico, generalmente “ a triangolo” o “a bastone”, in questo caso le barche devono seguire un percorso attorno a un certo numero di boe; la prima boa di percorso generalmente è quella di bolina che viene posizionata ad una certa distanza dalla linea di partenza, esattamente nella direzione da cui proviene il vento.

Esempio manovra in una regata a bastone

Regate molto affascinanti, però anche molto impegnative, sono le vere e proprie attraversate, tante volte svolte in solitaria; la mia preferita è la Route du Rhum, regata istituita nel 1978, che parte da Saint-Malo, in Francia, e arriva a Guadalupa, nelle Antille francesi, una distanza di 3540 miglia nautiche (6560 km). Questo è il tragitto che percorrevano le navi da lavoro che trasportavano il rum. 

In questi anni, in cui mi sono avvicinata a questo sport, ho avuto modo di conoscere alcuni velisti esperti che si sono contraddistinti per i risultati ottenuti nella loro classe e che non mi hanno solo trasmesso nozioni tecniche, ma anche le sensazioni che hanno provato.

Confrontandomi con loro, escono spontanee delle domande, la cui risposta mi ha molto entusiasmata e incuriosito.

A Marco Antonio Duccini, esperto velista della Lega Navale Italiana, esaminatore vela per patenti nautiche con la Capitaneria di Savona, velista dall’età di 10 anni, 50 anni passati fra diporto regate e istruzione nautica, timoniere di Nuvola Rossa Monolith, monotipo J24 con cui l’anno scorso ha vinto il Campionato Invernale del Ponente e la Coppa dei Campioni di Alassio, ho chiesto qual è la differenza tra un velista e un esperto velista.

“Essere velisti vuol dire essere appassionati di una pratica che è a stretto contatto con la natura, il vento, il mare, con la gioia e il senso di libertà che il rispetto di questi elementi ti possono donare.

Viaggiare nel silenzio, spinti dalla sola forza del vento nel pieno rispetto della natura, è un’emozione impagabile.

Essere esperti velisti significa conoscere e saper affrontare in sicurezza una serie di nozioni, che l’andar per mare comporta.

L’esperto velista conosce ogni centimetro e ogni pezzo dell’attrezzatura della barca su cui naviga e ne controlla e tiene monitorata l’usura.

L’esperto velista deve avere l’umiltà di riconoscere che la forza del mare è sempre superiore alla sua e sapersi approcciare ad essa con la massima cura e attenzione alle situazioni che può incontrare.

Un esperto velista sa quando è il caso di rimanere in porto per le condizioni o le previsioni dello stato del mare; ma deve sapere cosa fare quando si trova in mare con imprevisti peggioramenti del tempo: quali sono gli ordini da impartire ad ogni membro dell’equipaggio, ordini chiari e precisi da eseguire immediatamente; mettere in sicurezza l’attrezzatura di coperta, ridurre per tempo la superficie velica, far indossare sempre le cinture di sicurezza o giubbotti salvagente; conoscere la zona di mare in cui si naviga per individuare porti con ingressi sicuri per le condizioni che si stanno affrontando; mantenere la calma in ogni situazione per non trasmettere ansia che potrebbe causare pericolosi stati di panico negli altri membri dell’equipaggio.”

A Paolo Giargia, classe 1998, argento ai Mondiali del 2016 svolti in Nuova Zelanda nella classe Laser Radial, ho chiesto cosa ha provato quando è arrivato secondo e che sacrifici ha dovuto affrontare per arrivare a quel livello.

“Arrivare sul podio ad un mondiale ha significato per me la realizzazione di un sogno che avevo da quando ero bambino e per il quale mi allenavo da anni. La sensazione sul momento è stata sicuramente di gioia e orgoglio ma, allo stesso tempo, ci sono volute settimane, se non mesi, per metabolizzare concretamente il risultato raggiunto e tutti gli sforzi fatti nel tempo.

Paolo Giargia ai Mondiali del 2016

Penso, però, sia anche giusto dire che, una volta raggiunto un obiettivo che si pensava quasi irraggiungibile, la parte più difficile viene dopo, quando si deve ripartire: trovare nuovi stimoli e darsi nuovi obiettivi.

Perciò, a prescindere dalla felicità che deriva dal risultato, è fondamentale saper apprezzare in ogni momento il percorso che ti sta portando a raggiungere il tuo obiettivo (come dicono gli americani: “trust and enjoy the process”). Perché una volta arrivato non sai cosa ti aspetta dopo.  

Come in tutti gli sport, i sacrifici, oltre che fisici, consistono nel dover rinunciare a tutte quelle attività che si sovrappongono agli allenamenti e alle gare o che non permetterebbero di arrivare riposati e con la giusta freschezza mentale. Anche se nessuna rinuncia dovrebbe pesare troppo quando piace quello che si fa, sicuramente da ragazzo non è facile, e chi ha più rigore e costanza spesso avrà più successo.” 

Sara Grignani 3ALS

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